IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 2651/91 proposto dai dottori Osvaldo De Tullio e Francesco Corsaro rappresentati e difesi dall'avv. P. Jaricci e presso il medesimo domiciliati in Roma, via Alessandro Poerio, 76/A, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministeri tesoro e trasporti; Azienda autonoma assistenza volo traffico aereo (A.A.A.V.T.A.G.) quest'ultima rappresentata e difesa dall'avvocatura generale dello Stato per la declaratoria del diritto agli emolumenti di cui al primo comma d.P.R. 24 marzo 1981, n. 145, nonche' per la condanna dell'azienda suddetta al pagamento delle relative somme, con interessi e rivalutazione monetaria; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della p.a.; Vista la memoria prodotta dalla parte pubblica a sostegno delle proprie difese; Visti gli atti tutti della causa; Nominato relatore alla pubblica udienza del 15 ottobre 1992 il consigliere Borea e uditi, altresi', l'avv. Jaricci per il ricorrente; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F A T T O I ricorrenti, rispettivamente presidente di sezione della Corte dei conti e consigliere di t.a.r. premettono di essere stati a suo tempo nominati presidente e membro del collegio dei revisori dei conti dell'A.A.A.V.T.A.G. in attuazione dell'art. 21 del d.P.R. 24 marzo 1981, n. 145, il quale prevede altresi' due funzionari ministeriali (trasporti e tesoro) e un esperto designato dal Ministro dei trasporti. Premettono altresi' i ricorrenti che, in base all'art. 17 stesso d.P.R. il quale dispone che i revisori dei conti appartenenti ad amministrazioni statali sono collocati fuori ruolo, continuando a percepire il trattamento economico di provenienza, i medesimi sono stati esclusi; che ogni altro specifico emolumento, essendo il trattamento di provenienza superiore al compenso in ipotesi previsto dal medesimo art. 17 per lo svolgimento delle funzioni di revisore dell'azienda ("percepiranno, in aggiunta alla normale retribuzione, anche la eventuale differenza tra il trattamento goduto e quello spettante in base al primo comma del presente articolo"). DEDUCONO Violazione e falsa applicazione art. 17 del d.P.R. n. 145/1981. In subordine, illegittimita' costituzionale, ultimo comma, art. 17 cit., in relazione artt. 3 e 36 della Costituzione. A) Per incarichi analoghi il legislatore ha previsto emolumenti aggiunti del tutto insensibili all'ammontare di quelli percepiti negli enti di provenienza. E' il caso del collegio revisori casse depositi e prestiti (legge 13 maggio 1983, n. 197) dell'agenzia per lo sviluppo del mezzogiorno (legge 1½ marzo 1986, n. 64), dell'agenzia spaziale italiana (legge 30 maggio 1988, n. 186). Anche in tali casi sono previsti magistrati (della Corte dei conti) o funzionari dello Stato. Lo stesso dicasi per i magistrati della Corte dei conti previsti (sempre in posizione di fuori ruolo) nei collegi dei revisori delle universita', nel comitato liquidazione pensioni di guerra e nel comitato pensioni privilegiate ordinarie. Tale disparita', aggravata dal fatto che la presidenza del collegio revisori dei conti dell'agensud puo' essere affidata a un consigliere della Corte dei conti (art. 4 della legge n. 84/1986) mentre nel collegio revisori dei conti dell'A.A.A.V.T.A.G. e' richiesto un presidente di sezione, di fronte a parita' di incarichi non appare giustificabile. B) Sul piano interno, poi il sistema voluto dal legislatore delegato del 1981 non appare razionale laddove provoca sperequazione tra i membri del collegio, privilegiando coloro che usufruiscono a monte di trattamenti economici inferiori a quelli in astratto previsti per la funzione di revisore. Ne' si potrebbe opporre che i membri sfavoriti dal sistema censurato hanno comunque un trattamento superiore rispetto agli altri, non potendosi attribuire al sistema stesso una funzione livellatrice, dato al contrario che le diverse retribuzioni a monte si giustificano in relazione alle diverse professionalita' e al diverso peso del contributo che al collegio puo' derivare. Senza dire che, una volta fissato il compenso differenziale spettante ai piu' favoriti, al momento della nomina, puo' accadere che questi, per promozioni o avanzamenti sopravvenuti, si trovino a superare i componenti sfavoriti. Infine si verifica disparita' di trattamento anche nei confronti dell'esperto di nomina ministeriale, che percepisce in misura intera gli emolumenti previsti dall'art. 17. Ha depositato memoria la p.a., opponendo che la norma censurata risponde a un criterio di perequazione retributiva fra i membri del collegio dei revisori, considerato il pari grado di responsabilita'. D I R I T T O I ricorrenti sono magistrati, della Corte dei conti l'uno (presidente di sezione) e dei t.a.r. l'altro (consigliere) e rivestono rispettivamente le funzioni di presidente e di componente del collegio dei revisori dei conti dell'azienda autonoma per l'assistenza al volo per il traffico aereo generale. A tali funzioni sono stati incardinati in forza degli artt. 17 e 21 del d.P.R. 24 marzo 1981, n. 145, i quali da un lato prevedono il collocamento fuori ruolo dei revisori appartenenti ad amministrazioni dello Stato, e, dall'altro - per cio' che qui piu' interessa - che ai medesimi spettano, a titolo di compenso per le prestazioni rese, non gia' gli emolumenti pur previsti dallo stesso art. 17 cit. (il cui importo e' rimesso ad apposito d.i. previa deliberazione del Consiglio dei ministri) bensi' soltanto la differenza, eventuale, tra il trattamento goduto nell'amministrazione di provenienza e quello spettante in base al d.i. di cui sopra. Con il risultato che nella specie, come e' pacifico in causa, i ricorrenti prestano la propria opera di revisori senza emolumento alcuno, per essere il loro trattamento di provenienza superiore all'importo degli emolumenti fissati ad hoc in via amministrativa. Di cio' naturalmente si dolgono i ricorrenti, i quali, per il tramite di una richiesta di accertamento del loro diritto agli emolumenti in questione, in aggiunta al loro trattamento normale di magistrati, denunciano di incostituzionalita' il sistema introdotto dal ricordato d.P.R. n. 145, e piu' in particolare dall'art. 17, richiamandosi agli artt. 3 e 36 della Costituzione. Le norme costituzionali suddette vengono richiamate con riguardo a due diversi profili di doglianza, lamentandosi la denunciata disparita' di trattamento da un lato con riguardo ad un termine di paragone esterno, costituito dal regime normativo previsto per altre analoghe fattispecie, e, dall'altro, prendendo in esame le discriminazioni operate all'interno dello stesso collegio di revisori di cui si tratta. Sotto entrambi i profili non pare al collegio che la questione di costituzionalita' posta sia manifestamente infondata, e pertanto ritiene di doverne rimettere l'esame al vaglio del giudice delle leggi. Quanto al primo dei due accennati profili hanno cura i ricorrenti di richiamare le norme che, per altri enti, organi o istituzioni, prevedono (o non escludono) compensi specifici per i membri di collegi di revisori di conti, pur se questi siano soggetti dipendenti di pubbliche amministrazioni e si trovino in quanto nominati appunto revisori dei conti, in posizione di fuori ruolo. Tali normative sono: a) l'art. 10 della legge 13 maggio 1983, n. 197 (concernente il collegio dei revisori della Cassa depositi e prestiti), il quale stabilisce da un lato che i componenti (tra i quali un presidente di sezione della Corte dei conti, con funzioni di presidente) "sono nominati per un periodo di quattro anni, con decreto del Ministro del tesoro, che determina anche il compenso loro spettante" e, dall'altro, che "per il periodo di permanenza nella carica i membri del collegio dei revisori .... sono posti nella posizione di fuori ruolo"; b) l'art. 13 della legge 30 maggio 1988, n. 186 (concernente il collegio dei revisori dell'agenzia spaziale italiana) il quale prevede sia un compenso per i componenti del collegio che il collocamento fuori ruolo, per la durata dell'incarico, dei componenti stessi. c) l'art. 4 della legge 1½ marzo 1986, n. 64 (concernente il collegio dei revisori dell'agenzia per la promozione e lo sviluppo del mezzogiorno, il quale, prevede che i membri effettivi (tra i quali un consigliere della Corte dei conti, destinato a ricoprire l'incarico di presidente), "se appartenenti a pubbliche amministrazioni, sono collocati fuori ruolo"; d) l'art. 98 del d.P.R. 4 marzo 1982, n. 371 (concernente i collegi dei revisori dei conti delle Universita' degli studi) prevede tra i componenti degli stessi un magistrato della Corte dei conti, che ne assume la presidenza, e affida al Ministro della pubblica istruzione (ora dell'Universita' e della ricerca scientifica e tecnologica) il compito di fissarne il compenso, in una con il decreto di nomina; e) gli artt. 91 e 92 della legge 18 marzo 1968, n. 313, concernenti il Comitato di liquidazione delle pensioni di guerra, ne affidano la presidenza ad un presidente di sezione della Corte dei conti, e ne prevedono un compenso da fissarsi con provvedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri; f) infine, l'art. 166 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, concernente il Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie, ne affida la presidenza ad un presidente di sezione della Corte dei conti, prevedendone altresi' il collocamento fuori ruolo. Va certamente innanzi tutto evidenziato che le sei diverse fattispecie richiamate non sono tutte ugualmente specchiabili, in tutte le varie caratteristiche, in quella che qui interessa. Infatti in primo luogo non e' costante l'elemento del collocamento fuori ruolo (che non risulta espressamente previsto nei casi di cui alle lettere d) - revisori universita' - ed e) - pensioni di guerra -); in secondo luogo, non sempre viene normativamente previsto un compenso specifico (e' il caso di cui alle lettere c) - revisori Agenzia per il Mezzogiorno - ed f) - pensioni privilegiate ordinarie -); in terzo luogo vi e' un caso in cui nel collegio chiamato a parametro di riferimento non figurano magistrati, ma soltanto funzionari (lett. b) revisori dell'Agenzia spaziale italiana). A giudizio del collegio, peraltro, le suesposte rilevazioni in ordine alla varieta' delle fattispecie chiamate a confronto non valgono a convincere della infondatezza manifesta della questione posta. In primo luogo appare evidente la discriminazione con riguardo al regime previsto per il collegio dei revisori della Cassa depositi e prestiti (caso sub A), per il quale e' espressamente previsto che ai componenti, tra i quali un magistrato della Corte dei conti, spetta un compenso, pur se contestualmente collocati fuori ruolo. Le due situazioni chiamate a confronto sono del tutto speculari, e certamente non pare agevole comprendere le ragioni in base alle quali, a parita' di funzioni (di revisione dei conti) prestate da soggetti ugualmente appartenenti alla Magistratura ed ugualmente per l'esercizio di tali funzioni collocati fuori ruolo, agli uni venga ex lege corrisposto un compenso aggiuntivo che viceversa viene negato agli altri. In secondo luogo, la lamentata discriminazione non sembra adeguatamente giustificata neppure con riferimento alle altre fattispecie richiamate. Per un verso, infatti, non sembra che si possa affermare la non invocabilita' dei casi di cui alle lettere c) - revisori dell'Agenzia del Mezzogiorno - ed f) - C.P.P.O. - per il fatto che le rispettive norme di settore non prevedono espressamente l'attribuzione di un compenso: la discriminazione sembra infatti realizzarsi ugualmente, sia perche' le norme stesse, seppure non prevedano compensi, neppure li vietano, come invece avviene nel caso di cui si tratta, e sia perche', come e' pacifico in causa, di fatto tali compensi vengono erogati (ed in misura anche rilevante, come nel caso dell'Agenzia del Mezzogiorno). Per un altro verso, poi, neppure sembra potersi opporre, per cio' che riguarda i revisori dei conti nelle universita', il fatto che l'art. 98 del d.P.R. n. 371/1982 non preveda il collocamento fuori ruolo dei magistrati della Corte dei conti chiamati a presiedere i relativi collegi: soccorre in proposito l'art. 8 della legge n. 161/1953, il quale prevede, fermi restando i collocamenti fuori ruolo previsti da leggi speciali, che possono essere collocati in detta posizione, nel numero massimo di dodici, i magistrati ai quali siano affidati incarichi di carattere continuativo che non consentono il regolare esercizio delle funzioni di istituto. Ed e' appunto quanto risulta accadere nella specie, quanto meno con riguardo alle universita' di maggiori dimensioni. Analogamente, viene collocato fuori ruolo il presidente di sezione della Corte dei conti nominato presidente del comitato per la liquidazione delle pensioni di guerra. Infine, non sembra determinante, al fine di escludere l'identita' delle situazioni poste a confronto, il fatto che nel collegio dei revisori dell'Agenzia apazale italiana non siano previsti magistrati, ma soltanto funzionari, trattandosi pur sempre di soggetti legati da rapporto di pubblico impiego con la p.a., ugualmente esonerati dai compiti normali di istituto per meglio adempiere alle funzioni di revisori loro affidate. In conclusione, sulla base delle discipline di settore richiamate, sembra possibile affermare l'esistenza di un principio normativo in base al quale all'impiegato pubblico collocato fuori ruolo per adempiere a funzioni di revisione e controllo, o comunque di particolare impegno tecnico-giuridico, viene riconosciuto (talora espressamente, altre volte implicitamente) il diritto ad uno specifico emolumento aggiuntivo rispetto al trattamento economico di provenienza. E tanto appare sufficiente per non ritenere manifestamente infondata la questione posta dai ricorrenti nei confronti dell'art. 17 del d.P.R. n. 145/81, il quale viceversa, isolatamente contrastando il suddetto principio, nega in sostanza ai ricorrenti emolumento alcuno. Venendo poi al secondo profilo della dedotta denuncia di violazione degli artt. 3 e 36 della Costituzione, concernente questa volta gli interna corporis del collegio dei revisori dell'Azienda, non sembra sul piano logico giustificato un meccanismo in base al quale la quantificazione del compenso pur in astratto previsto per lo svolgimento di determinate - e delicate - funzioni risulta essere inversamente rapportato all'ammontare dei trattamenti economici goduti nelle amministrazioni di provenienza fino ad azzerarsi totalmente, come nella specie avvenuto, qualora il trattamento di provenienza sia superiore all'importo di volta in volta fissato del compenso stesso vedendosi in tal modo, a parita' di funzioni svolte dai vari membri del collegio, a privilegiare quelli che abbiano trattamenti economici di provenienza di importo inferiore. Ne' sembra potersi opporre, come di fatto oppone controparte (la quale non contesta l'avveramento in fatto della denunciata discriminazione) che la norma perseguirebbe un intento perequativo nei confronti dei componenti del collegio allo scopo di garantire pari trattamento economico a parita' di funzioni e di responsabilita'. Certamente puo' ammettersi che questo - l'intento perequativo - e' da assumersi come l'obiettivo perseguito dal legislatore, ma appare altrettanto certo che la norma, lungi dal perequare, sembra piuttosto appiattire indiscriminatamente, finendo con il mortificare, anziche' valorizzare, la responsabilita' degli interessati e punendone la professionalita', la quale ultima, sembra di poter sottolineare, appare tale, in considerazione del particolare alto livello di preparazione richiesto alla categoria dei magistrati, da assicurare al collegio un contributo particolarmente qualificato, pari, se non superiore, a quello offerto dagli altri componenti pure provenienti dalla pubblica amministrazione (dirigenti del tesoro e dei trasporti), i quali sono viceversa posti in condizione di percepire un compenso aggiuntivo, tanto piu' rilevante ove si tenga conto che la differenza tra emolumenti previsti per i revisori e quelli goduti nelle amministrazioni di provenienza viene stabilita al momento della nomina, senza che eventuali miglioramenti successivi vengano portati in diminuzione dal trattamento complessivo. In ragione delle considerazioni svolte, risultando evidenziata la non manifesta infondatezza (oltre che la rilevanza, per essere il ricorso ovviamente infondato sul pianto della legittimita' ordinaria) delle dedotte questioni di incostituzionalita', deve essere disposta l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione delle questioni stesse, disponendosi conseguentemente la sospensione del giudizio introdotto con il ricorso indicato in epigrafe.